Uno parte pieno di buoni propositi, ma poi la costanza per mantenere un blog non è facile trovarla, e io sono di natura indolente.
Per farmi almeno un po’ perdonare questi mesi di assenza, vi regalo un racconto natalizio, scritto alcuni anni fa e pubblicato solamente in un’antologia a tiratura limitata, praticamente inedito.
Ci sono particolarmente affezionato perché racchiude molto della mia vita, del mio rapporto con mia madre, magnifica protagonista di tanti post del primo corso di questo blog, dei miei affetti torinesi (che questo Natale, per inciso, sono venuti a Roma a trascorrere le festività con me e mia sorella, come non accadeva da molti, moltissimi anni).
Come in ogni racconto autobiografico che ho scritto, come insegno nei corsi di scrittura autobiografica, c’è molta verità e un po’ di finzione, ci sono pretesti autentici, fatti accaduti in più occasioni accorpati in un unico contesto per mia convenienza narrativa, personaggi omessi per non complicare inutilmente la trama e altre operazioni di rielaborazione che non sto qua a dirvi. L’autenticità del racconto autobiografico è a mio avviso da ricercarsi nelle intenzioni, nell’essenza, in alcuni tratti caratterizzanti, nel sottotesto e nel messaggio che vuole veicolare, che devono essere intimamente autentici e sentiti.
L’obiezione che più spesso ricevo da partecipanti ai miei corsi, quando qualcosa non funziona nei loro racconti autobiografici e glielo segnalo, è: “Ma è successo così!”. Nel mio modo di intendere il racconto autobiografico, la realtà deve essere messa al servizio del racconto, non il racconto al servizio della realtà, per restituire non un ricordo aneddotico, bensì un’opera fruibile, compatta, strutturalmente compiuta e dotata di quell’urgenza narrativa da cui non si può mai prescindere. Non dico di riuscirci, dico che il mio intento è quello, e ritengo che quando si procede in tal modo il racconto autobiografico può ambire a uscire dal proprio diario segreto e diventare, nel suo piccolo, letteratura.
Buona lettura, e buone feste.