L’ultima volta che mi sono svegliato in queste condizioni avevo più o meno vent’anni, e avevo fatto qualcosa che ieri escludo categoricamente di aver fatto. Le seratacce, come le chiamavamo noi, sono andate diradandosi, trasformate in qualche cena l’anno, poi qualche telefonata, poi solo il ricordo e notizie degli amici che giungono da amici di amici… sapete come va, no? Si cresce, tutto qua.
Guardo la sveglia, sono le 5 e 27, suonerà tra 33 minuti ma non riesco a riprendere sonno. Un cerchio alla testa mi distrugge, una sensazione di nausea mi pervade e ho ricordi impastati e parziali di ieri sera, e quella sensazione di aver fatto un sogno strano e coinvolgente che forse l’ho fatto forse no ma con lo stimolo giusto potrei ricordarlo chissà, quando meno me l’aspetto. Ho mangiato qualcosa che mi ha fatto male, penso, o forse ho solo preso freddo. Fa un gelo che penetra nelle ossa.
“Ciao Buddy, fai il bravo, papà va a lavorare, ci vediamo stasera” dico al mio cucciolone di quasi 80 chili, che mi guarda triste trattenendo a stento i guaiti.
Vendere enciclopedie porta a porta è un’attività che dà le sue soddisfazioni. Non tanto per lo stipendio, che comunque se ci sai fare non è male, quanto per l’idea di portare cultura in ogni casa, elevare gli spiriti e le menti, aumentare la consapevolezza, far uscire dalla schiavitù dell’ignoranza.
Oggi voglio setacciare Sellano, 60 chilometri non sono uno scherzo per la mia Pandina, tanto più con questo freddo, ma l’ho appena fatta revisionare, ho montato le catene e sono pronto per qualunque sfida.
Appena uscito da Perugia una grande fumata bianca dal motore mi preannuncia il disastro imminente. Faccio in tempo ad accostarmi in uno slargo in mezzo al nulla, alzo il cofano ma non è che ci capisca granché. La fumata si confonde con i fumetti che escono dalla mia bocca, richiudo e impreco tra i denti. Vado a mettere il triangolo, e strada facendo alzo il pollice alle auto che passano, sperando qualche anima buona mi raccolga. Sono fortunato, perché al quarto tentativo si ferma una familiare con due donne e un uomo a bordo, che guida.
– Che è successo? – mi chiede l’uomo, scendendo e venendomi incontro. Domanda non particolarmente intelligente, penso, ma comunque legittima.
– Non lo so, mi ha fatto una fumata bianca e poi si è fermata… Se poteste accompagnarmi all’officina più vicina, cortesemente…
L’uomo mi fissa con uno sguardo strano, attento e acuto.
– Ma che mi venga un colpo. Tu sei Giacomo!
– Sì, scusi ma non…
– Ragazze, guardate chi è, è Giacomo! Ve lo ricordate?
Ho beccato due amici di gioventù, Marco e Susanna, più una terza che non conosco, Giorgia, anche se lei giura di ricordarsi di me. Amici è un parolone, sono uscito con loro solo un’estate, quando la mia comitiva era in vacanza. Qualche serata in discoteca, un po’ di sperimentazione di droghe da leggere a medio pesanti, qualche bevuta, poi ci siamo persi di vista completamente, non ricordo il motivo. Ci si riesce anche a Perugia evidentemente, io ci sono riuscito.
Per farla breve, mi hanno convinto – non ho proprio avuto modo di scegliere – a lasciare l’auto là e andare con loro nella gita fuori porta che stanno per fare.
– Ma non ho niente appresso, devo lavorare, ho un capo a cui devo rend… etciù!
– Lo vedi? Stai male, il capo è sistemato! Dai poche storie, abbiamo tutto noi, sei nostro ospite!
– Ma l’auto la lascio qui?
– Ma no, passiamo da Egidio e gli diamo le chiavi, pensa a tutto lui… te lo ricordi Egidio? Ora fa il meccanico.
– Egidio… come no.
No.
Il viaggio prosegue tra strade innevate e curve eseguite a velocità troppo elevata che mi fanno reggere forte al maniglione, con il riscaldamento al massimo che mi fa sudare. Cerco di essere il più brillante che mi riesce, ma in realtà ho perso molto smalto, non faccio molta vita sociale. Nel mio lavoro devi socializzare, ma è diverso. O forse no. Potrei pensare a loro come a dei clienti, magari funziona. Sento che sto perdendo colpi.
– E così… vi siete sposati?
– Chi, noi? – mi risponde Marco mentre guida, sottintendendo Susanna, che gli siede a fianco.
– Sì, voi…
– No, ci siamo riavvicinati da un paio d’anni, non è ancora il caso, anche se il tempo corre, vero amore?
– E tu? – Chiedo a Giorgia, che mi siede a fianco.
– No no io sono single – mi risponde con un risolino imbarazzato.
– Ma davvero non te la ricordi Giorgia? A Già, è la sorella di Antonio! – mi dice Marco lanciandomi occhiate dallo specchietto retrovisore.
– Ah, Antonio! Sì ora ho capito!
No.
Arriviamo ai Bagni di Triponzo, parcheggiamo lontanissimi dall’ingresso, con l’intero parcheggio deserto.
– Ma non potevamo parcheggiare più vicini?
– Dai che due passi ti fanno bene, hai messo su un po’ di pancetta eh?
– Potevamo, ma ha paura che più la metti vicino all’ingresso e più è facile che la rubano – Lo schernisce Susanna.
– E allora? L’ho letto sul giornale, è statisticamente provato.
Marco mi compra un costume e mi noleggia il kit di accappatoio, asciugamano, ciabattine e cuffia.
Ci tuffiamo nell’acqua di un’enorme vasca lunga e stretta, le montagne innevate ci circondano. L’acqua è calda, piacevole, fuori è freddo. Mi viene voglia di nuotare e accenno un paio di bracciate, ma subito vengo redarguito dal guardiano.
– C’eri mai stato? – mi chiede Giorgia.
– Mai, le avevo viste solo in foto queste terme. O forse sì? Forse una volta. Ma no, non credo… Quando ti abitui alla puzza è molto piacevole.
– Lo stesso che si può dire di Marco –dice Susanna, ridendo, beccandosi uno sbuffo d’acqua dal fidanzato.
– Allora, ti sei ricaricato per bene? Perché la parte bella della gita comincia adesso.
– Non era questa la gita?
– Macché, anzi prepariamoci che altrimenti si fa tardi.
– Ma dove andiamo?
– A Pian delle Macinare.
– A fare?
Non sono neanche le 11 quando ci rimettiamo in marcia. Ho provato a dire che io non so sciare, non voglio sciare, non sono preparato psicologicamente né fisicamente a sciare, ma è stato come parlare a un muro. Comunque non ho calcato troppo la mano sui miei limiti perché Giorgia, sotto sotto, qualcosa me la ispira, tanto che in macchina arrivo a sfiorarle la mano, e lei neanche si ritrae, per dirla tutta, e c’è un incoraggiante gioco di sguardi e sorrisi.
– Ma come si va con questi cosi? – Marco tenta di darmi una spiegazione, mentre goffamente e in modo totalmente scoordinato muovo i primi passi. Lo sci non mi ha mai attirato, ma se non altro quello di fondo è tutto sommato, pressappoco, non difficilissimo, anzi non è affatto male.
Alla prima morbida discesa, vado lungo contro un albero.
Mi risveglio per un sibilo. Sono disteso per terra circondato da facce di curiosi, alzo la testa e vedo che ho i pantaloni strappati nella gamba destra fino al ginocchio sanguinante, dove un energumeno palestratissimo sta spruzzando qualcosa.
– È lacca, rinfresca, disinfetta…
– Ma io non credo che… – sono le parole che riesco a sussurrare, prima di riperdere i sensi.
In lontananza, sento Marco che suona il clacson per farsi strada, le campane di una chiesa che mi annunciano che siamo entrati in un qualche centro abitato, Giorgia che dice qualcosa su di me, la sua voce viene da sopra di me, sta dunque tenendo la mia testa sulle sue cosce, sento una sua mano su una mia guancia. Apro gli occhi, la vedo che mi fissa preoccupata, ritrae la mano di scatto. Dico che sto bene, non ho battuto la testa, sono solo sensibile alla vista del sangue, scusate non volevo rovinarvi la giornata, sono sempre il solito disastro, se volete torniamo a sciare…
Compostamente, riconquisto la posizione da seduto, tenendo la gamba col ginocchio infortunato il più tesa possibile. Li convinco a non portarmi in ospedale. Mi lasciano a casa.
Credo di aver rovinato tutto con Giorgia. Pazienza. Si protende comunque in un compassionevole doppio bacio sulle guance. In quel momento le raccolgo delicatamente la nuca nella mano aperta, in un gesto che vorrei far apparire più disinvolto di quello che è. Porto a casa la morbidezza dei suoi capelli.
Li saluto tutti
– Scusate ancora
e zoppicando entro in casa.
80 chili di Buddy mi si buttano addosso, per poco non mi sbilancia. Il ginocchio mi fa male.
– Ciao Buddy, ciao cagnolone! Hai fatto il bravo? Stasera mi sa che non ti posso portare a passeggio, ho avuto una di quelle giornate…
Il suono del campanello interrompe la conversazione. Apro la porta e la figura che mi si para davanti è lo stimolo giusto per ricordarmi il sogno che ho fatto, istante per istante in un istante, e la cosa che mi toglie il fiato è che era esattamente uguale alla giornata che ho avuto.
non riesco a riprendere sonno
Ciao Buddy
strada facendo alzo il pollice alle auto
etciù!
Dai che due passi ti fanno bene
Mi viene voglia di nuotare e accenno un paio di bracciate
Lo sci non mi ha mai attirato
un sibilo
un energumeno palestratissimo
suona il clacson per farsi strada
le campane di una chiesa
Dico che sto bene
un compassionevole doppio bacio sulle guance
Le raccolgo delicatamente la nuca nella mano aperta
Li saluto tutti
Ciao Buddy, ciao cagnolone!
– Posso… posso aiutarla? – trovo la forza di dire a Superman, che mi fissa con un sorriso enigmatico.
– Adesso cerchiamo di farlo meglio! – mi risponde con entusiasmo, con il labiale leggermente fuori sincrono, e subito corro a velocità doppia al letto a dormire.
– E che è sto casino qua? – chiede il nuovo addetto alle pulizie al vecchio Mario, entrando nella stanza dove è disteso un uomo anziano e magrissimo attaccato a una flebo ed è sparata musica a tutto volume.
– Questo è Giacomo, sò quarant’anni che sta qua, ormai fa parte dell’arredamento.
– Quarant’anni? Caspita… Un incidente?
– Chiamiamolo incidente…c’è rimasto sotto con una pasticca quand’era un ragazzino. Dicono che il cervello gli funziona pure, dà segni, ma non reagisce. Tu fa’ come se non ci fosse. Oh, se tante volte non senti la canzone devi avvertire subito la caposala che gliela rimette, dicono che potrebbe risvegliarlo, la stava ballando quando s’è sentito male.
– Vabbè… A me sembra una cazzata.
– Pure a me, ma che dobbiamo fare, i medici sono loro… noi facciamo le pulizie.